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La sostanza più inquinante al mondo

La sostanza più inquinante al mondo

Sostenibilità 16 Mag 2025 di Fabio Fantuzzi

In questo articolo parliamo di:

Il ruolo del cervello

È innegabile, partendo da ciò che la scienza materialistica riesce a osservare, che i comportamenti e altri fenomeni psichici (o animici) siano in stretta relazione con fenomeni all’interno del cervello. Pertanto il funzionamento del cervello ha certamente un ruolo nella causalità dei fenomeni comportamentali.

È evidente che la drammatica situazione in cui si ritrovano il pianeta e l’umanità sono il prodotto di azioni compiute da esseri umani. Dietro alle azioni ci sono scelte (più o meno consapevoli). La scelta è un fenomeno ‘prodotto’ dal cervello (seguendo provocatoriamente un approccio determinista-riduzionista). 

Quindi, percorrendo a ritroso la concatenazione causale, scopriamo che la sostanza più inquinante al mondo, cui accenna il titolo di questo capitolo, è la materia grigia del cervello.

Se ci si consente un po’ di ironia, un approccio riduzionista alla questione suggerirebbe che per rimuovere la causa dovremmo rimuovere tutti i cervelli, ma questa strategia non sarebbe esente da controindicazioni ed effetti collaterali.

Vale allora la pena approfondire meglio in cosa consista questa ‘colpa del cervello.

Il cervello tra materia e anima

Il cervello è qualcosa di meraviglioso, è un oggetto materiale dalle capacità e potenzialità straordinarie.

Ed ha la non marginale responsabilità di costituire l’elemento di congiunzione e di transizione tra materiale e immateriale. In altre parole, tra spirito e materia. 

Infatti il cervello ha sicuramente un ruolo indispensabile nella formazione delle rappresentazioni mentali (immateriali) a partire dalle caratteristiche materiali che vengono rilevate dai nostri sensi fisici, e ha un ruolo altrettanto indispensabile nel tradurre in azione capace di modificare la materia ciò che in origine è solo rappresentazione mentale.

Potremmo definire il cervello un convertitore bidirezionale materiale-immateriale.

A questa affermazione, focalizzandoci sulla direzione da sinistra a destra, si possono attribuire due significati molto diversi:

  • il cervello che produce gli effetti immateriali, in altre parole produce l’anima (che quindi cessa di esistere se si interrompe l’attività biochimica ed elettrica del cervello)
  • nel cervello ha luogo la connessione tra mondo materiale e anima (e spirito), la quale anima ha però un’esistenza che non dipende in toto dalla funzionalità materiale del cervello; in questo secondo significato, il cervello può fungere non solo da produttore di immateriale, ma anche da recettore di immateriale, una specie di antenna che può ricevere segnali provenienti dal mondo immateriale che, come si è detto, può definirsi anche spirituale (p.es. l’ispirazione artistica, l’intuizione scientifica, la condizione mistica).

Il recente sviluppo delle neuroscienze ottenuto grazie alla messa a punto di metodi di indagine del cervello in vivo ha evidenziato corrispondenze tra fenomeni materiali (concentrazione di ossigeno, circolazione sanguigna, attività elettrica in diversi punti o aree) e fenomeni psichici. 

Ma dalle neuroscienze a oggi non viene ancora nessuna indicazione utile per dirimere questa importantissima questione. 

Il cervello tra passato e futuro

La funzionalità del cervello è determinata dall’attivazione di circuiti neurali. Tale attivazione può richiedere una quantità di energia molto variabile a seconda che si tratti di circuiti utilizzati molto frequentemente oppure utilizzati di rado. I primi si attivano con un ridotto apporto di energia e corrispondono alle nostre abilità e capacità consolidate, alle nostre abitudini comportamentali e a ciò che ci piace. Gli altri, invece, sono sì attivabili, o in certi casi addirittura ‘inaugurabili’ (come una nuova via alpinistica per salire su una vetta che, di fatto, si crea), ma la loro attivazione richiede un impiego di energia molto maggiore.

Sebbene il cervello sia una macchina meravigliosa in grado anche di svolgere i compiti più disparati, di rompere schemi e di creare, in esso è cablata una forte tendenza ad utilizzare le abitudini, e il loro insieme diventa la famosa zona di comfort. Questa tendenza si presenta in modo variabile da individuo a individuo, e sicuramente può essere anche modificata, così come con l’esercizio si può potenziare un muscolo. Tuttavia sul fatto che il cervello preferisca attivare circuiti usati frequentemente (quelli che ci fanno ‘andare in automatico’) non c’è alcun dubbio, in quanto questa caratteristica e quella che gli consente di limitare i consumi e di moltiplicare le attività svolte, all’interno dei limiti fisiologici che ne condizionano la prestazione.

La necessità di risparmiare energia

La massa del cervello corrisponde circa al 2% di quella corporea, ma esso consuma il 25% dell’ossigeno e il 20% degli zuccheri necessari per l’intero corpo.

Dalla performance del cervello dipende la capacità di sopravvivenza dell’organismo. Non va dimenticato che per molto tempo gli Homo Sapiens hanno vissuto circondati da pericoli che minacciavano quotidianamente la loro vita: il cervello doveva essere sempre molto rapido ed efficiente nel reagire a questi pericoli. Anche quando magari non si toccava cibo da diversi giorni.

Questo ha fatto sì che nel corso dell’evoluzione il cervello abbia messo a punto un sistema di funzionamento fortemente orientato alla minimizzazione dei consumi energetici, la cui altissima richiesta è, come abbiamo visto, una caratteristica intrinseca del cervello. 

Che impatto hanno sul cervello i cambiamenti nel contesto

Il cervello è, come noto, una specie di cabina di comando della nostra persona, che interviene, tra l’altro, in tutte le interazioni che il corpo ha con l’ambiente.

Grazie al cervello e alla sua capacità di assemblare i flussi percettivi provenienti dai nostri sensi, collegandoli con il nostro sistema di significati, si costruisce e continuamente rinnova la nostra rappresentazione del mondo. Le percezioni che abbiamo attraverso i sensi inducono l’attività cerebrale necessaria per attribuire loro una posizione nella nostra immagine della realtà. Quando le percezioni sono ripetitive l’attività necessaria è minimale, quando non lo sono aumenta. Quindi il livello di mutevolezza dell’ambiente in cui viviamo è assai importante ai fini del ‘carico di lavoro’ cui il cervello è sottoposto.

Dallo stato di natura al mondo virtuale

La Valanga di Informazioni che Sovraccarica il Cervello

Possiamo immaginare che quando, come era normale fino all’avvento della rivoluzione industriale, tutto avveniva con tempi più lenti, i cambiamenti intorno erano pochi, e il mondo delle informazioni (senza internet, televisione, radio e con la maggior parte delle persone analfabete) aveva dimensioni molto ridotte, nel corso dell’intera vita una persona era esposta ad una quantità di sollecitazioni provenienti dall’ambiente decisamente modesta, se osservata dal punto di vista di quanto accade oggi. Consideriamo anche che la situazione immaginata subito prima dell’inizio dell’era industriale aveva accompagnato con variazioni lentissime la storia di Homo Sapiens dal momento della sua comparsa.

Ora viviamo in un contesto che ci espone ogni giorno, soprattutto attraverso la costante connessione a Internet, a flussi costanti di valanghe di informazioni (parole, immagini, video). Abbiamo sempre più possibilità e opportunità da cogliere, sempre più scelte da fare. La scelta che bisogna fare costantemente, e che ha grandi conseguenze nella nostra vita, nonché in quelle altrui, è ‘a cosa dare attenzione, a cosa dare priorità’. Tale scelta è nella maggior parte dei casi fatta inconsciamente.

Necessità degli automatismi mentali 

Sebbene il carico di lavoro per il cervello sia enormemente aumentato (la quantità di informazioni provenienti dall’ambiente da elaborare è diversi ordini di grandezza superiore), per come funzionano i meccanismi evolutivi, è assai poco probabile che il cervello di una persona contemporanea sia dal punto di vista genetico diverso da quello di un nostro antenato vivente prima dell’avvento della rivoluzione industriale, mentre dal punto di vista funzionale viene stimata una differenza massima del 15%.

È chiaro che l’ambiente contribuisce allo sviluppo funzionale del cervello di un individuo, ma la ‘macchina’ biologica è sostanzialmente sempre la stessa. Da qui l’osservazione che, dovendo sviluppare quotidianamente una mole di lavoro sempre crescente, il nostro cervello ha sempre più bisogno di appoggiarsi su tutti quegli automatismi che gli permettono di ‘risolvere problemi’ (fare scelte) con il minimo sforzo. 

Effetti della tendenza al risparmio di energia

Il Cervello al Bivio

Dal momento che, come detto, il cervello, ancor prima della comparsa di Homo Sapiens, si è sviluppato e strutturato in condizioni nelle quali il principale problema da risolvere momento per momento era la sopravvivenza, più della specie che dell’individuo (da qui la centralità del tema della riproduzione e della sessualità che la rendeva possibile) l’evoluzione ha fatto sì che si affermassero le varianti portatrici di quei cambiamenti del cervello che lo rendevano capace di rispondere adeguatamente alle minacce alla sopravvivenza, quindi a conquistare potere e controllo sul territorio vitale.

Questi meccanismi sono ancora oggi presenti e attivi anche in Homo Sapiens, e spesso prendono il sopravvento sulla sua parte razionale, perché si attuano con maggior velocità, senza l’intervento della componente consapevole e intenzionale. Sono meccanismi ai quali corrispondono circuiti neuronali attivabili senza l’intervento della parte cosciente, che è quella più costosa in termini energetici.

Se ‘lasciamo fare al nostro cervello’, questo preferisce utilizzare queste strutture arcaiche, più economiche dal punto di vista energetico.

Questi meccanismi sono fortemente attivi nella vita economica, dominata dalla competizione, essendo la competizione basata sulla forza e la soppressione dell’antagonista fenomeni assolutamente presenti nel mondo animale, così come il potere su un gruppo.

La priorità delle percezioni sensoriali

È evidente che ai fini della sopravvivenza la necessità era di essere estremamente attenti e responsivi rispetto alle percezioni, attraverso i sensi, di ciò che proveniva dall’ambiente.

Questo fa sì che ancor oggi ciò che succede nel cervello a partire da una percezione sensoria non mediata dall’intervento di funzioni superiori, come il pensiero razionale o astratto, abbia spesso, a livello inconscio, la prevalenza rispetto al resto.

Per fare un esempio: se ho problemi di peso eccessivo so (ho il pensiero) che adottando uno stile alimentare più regolato e facendo più attività fisica migliorerei la mia salute, il mio aspetto, la mia agilità. Ma di fronte alla vista, agli odori e ai gusti di un bel pranzetto innaffiato da buon vinello con dessert finale il pensiero, che pure ci sarebbe, spesso soccombe miseramente, e la scelta, più o meno consapevole, porta a godersi il bel pranzetto. In altre parole: ai fini dell’agire l’influsso di ciò che proviene da percezioni (esterne o interne) è tendenzialmente più forte rispetto agli esiti dell’attività pensante razionale.

Sostenibilità tra percezioni e razionalità

Abbiamo chiuso il paragrafo precedente affermando che ai fini dell’agire l’influsso di ciò che proviene da percezioni (esterne o interne) è tendenzialmente più forte rispetto agli esiti dell’attività pensante razionale.

Abbiamo detto ‘tendenzialmente’, ed è nelle capacità di gestione di questa tendenza che si gioca probabilmente il futuro della nostra specie sulla Terra.

La necessità di modificare il modello di sviluppo alla quale ci riferiamo col termine ‘sostenibilità’ si basa su elementi scientifici. Mentre la scienza ci parla di aumento della temperatura media globale di una frazione di grado in un anno, noi nello stesso anno avremo percepito con i nostri sensi delle variabilità continue, che di sicuro non avremo collegato in termini causali con i nostri comportamenti e le nostre abitudini di vita. Se poi la scienza ci dice che riducendo i nostri consumi di carne bovina da allevamenti intensivi potremmo contribuire in modo significativo alla riduzione delle nostre emissioni di CO2, noi magari lo capiamo, ma ben difficilmente decidiamo, in ragion di ciò, di modificare il nostro regime alimentare, che è in relazione con diverse percezioni sia interne che esterne a livello sia materiale che di stati d’animo.

Possiamo capire le idee della sostenibilità ma, come ci dice magistralmente Jonathan Safran Foer, non ci crediamo. Quindi i nostri comportamenti non ne sono condizionati. O comunque non in modo sufficiente.

Bias cognitivi

Il nostro cervello, come già evidenziato, si è evoluto mettendo a punto meccanismi per risparmiare energia, obiettivo crescentemente critico nella misura in cui di energia ne deve impiegare sempre più nella normale quotidianità, essendo inserito in contesti in cui accelera l’aumento della quantità e complessità delle informazioni che riceve.

Come fa a risparmiare energia? Prendendo delle scorciatoie.

Quando si trova a dover operare una scelta, che, per essere presa in modo razionale, richiederebbe la risoluzione con rigore scientifico di complessi problemi coinvolgenti grandi quantità di dati, arriva a operare comunque una scelta, evitando l’approccio pienamente razionale.

Queste scorciatoie vengono denominate bias cognitivi, e sono causa di errori sistematici nella presa di decisioni.

Dal momento che le problematiche collegate alla sostenibilità sono fondate sulla raccolta e analisi scientifica di moltissime informazioni raccolte a livello globale (ad esempio, l’aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre a livello del suolo su base annua), non possono essere basate sulle percezioni dirette avute a livello personale.

Per rappresentarsi correttamente la realtà del problema occorre considerare l’enorme quantità e complessità degli elementi coinvolti e delle loro relazioni. Si consideri poi l’intrinseca difficoltà insita nel confrontare valori di ambiti diversi (durata della vita, qualità della vita, diritti delle minoranze, consumo di risorse, produzione di rifiuti, ecc). Si tratta di un compito che possiamo definire addirittura impossibile da risolvere sul piano razionale, dal momento che diversi criteri non sono ancora chiaramente definiti. È per questo che i bias cognitivi, sempre presenti o in agguato nelle diverse attività umane, quando occorre prendere posizione sui temi in oggetto, prendono il sopravvento in modo travolgente.

I bias cognitivi più pericolosi per il futuro sostenibile

Bias del presente: le decisioni sono volte a ottenere una immediata gratificazione, ignorando le possibilità di conseguire risultati migliori in futuro e in diversi ambiti. 

Bias dello status quo: porta le persone a preferire la situazione attuale piuttosto che scegliere altre opzioni sconosciute

Bias dell’ottimismo: le cose sono considerate in maniera più ottimistica rispetto a quanto lo siano realmente.

Bias di omissione: tendenza sistematica a preferire scelte che comportano l’omissione, l’evitamento, anziché l’azione, anche quando si è esposti a rischi oggettivi.

Euristica della disponibilità: la tendenza a sopravvalutare l’importanza o la probabilità degli eventi in base alla facilità con cui vengono in mente.

Bias di conferma: si prendono in considerazione e si valorizzano solo notizie, pareri o evidenze che confermano quello di cui già siamo convinti; soprattutto si tende a ignorare tutte le evidenze che contraddicono le convinzioni.

Bias della normalità: ci si rifiuta di ragionare su una possibilità per il motivo che non si è mai verificata prima

Ricordare il futuro

Andando al nocciolo del problema: considerando che ogni funzione del cervello è riconducibile ad una qualche forma di ricordo (nel cervello si attiva qualcosa di memorizzato sotto forma di circuito neurale), il cervello tende a mettere al centro dell’attenzione più rappresentazioni derivanti da percezioni del passato che rappresentazioni del futuro, per il semplice motivo che le prime si sono create e rafforzate nel tempo spontaneamente, senza o con poco sforzo, diventando potenti attrattori, mentre le seconde sono in generale normalmente molto meno usate e derivanti da un’attività intenzionale, normalmente molto costosa in termini energetici.

Ma la sostenibilità ha intrinsecamente a che fare col futuro, spesso con un futuro anche piuttosto lontano. Il cervello fa fatica a ‘ricordare’ questo futuro (di fatto deve attivare la memoria di dati e nozioni scientifici), ancor più visto che ricordare il futuro in questa chiave comporterebbe compiere azioni che contrastano il perseguimento di benefici vicini nel tempo.

Usare il cervello, non farsi usare

Le caratteristiche qui descritte dello strumento cervello sinora non hanno generato troppi danni in quanto si era ancora lontani dai limiti del pianeta. In proiezione futura rischiano invece di portarci alla distruzione, a meno che non impariamo ad usare questo meraviglioso strumento in modo adeguato a quanto la sfida dello sviluppo sostenibile ci sta richiedendo.

Sopravvivenza 2.0

Come detto, molto dello sviluppo avuto dal cervello è stato determinato dalla sua funzione di dover contribuire alla garanzia della sopravvivenza, anche grazie all’adattamento all’ambiente

Sulla base delle considerazioni appena sviluppate, dobbiamo constatare che, in modo tragicamente paradossale, la struttura che il nostro cervello ha sulla base della sua ‘missione’ atavica di garantire la nostra sopravvivenza costituisce oggi la peggior minaccia alla nostra sopravvivenza.

Il problema è molto grosso, ma una via per risolverlo all’interno del paradigma dello sviluppo esiste. 

Anzi, possiamo riconoscere in questa sfidante situazione un’occasione d’oro per far sì che Homo Sapiens possa proseguire il suo cammino evolutivo.

L’articolo ha evidenziato temi essenziali per il nostro domani. Scopri come PMI Sostenibile può supportare la tua impresa nel cammino verso la sostenibilità.

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